Nesta: «Addio al Milan? Ho detto basta, ero fritto. Di Scudetti ne abbiamo vinti pochi. Il mio preferito è stato il primo»
- SCADUTO ANTONIO
- 26 mar
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Alessandro Nesta, attuale tecnico del Monza, ha rilasciato un’ intervista al canale YouTube di Prime Video Sport. L’ex giocatore del Milan, assieme a Luca Toni, si è soffermato sui suoi momenti storici in rossonero.
Sugli Scudetti al Milan: “Ne abbiamo vinti pochi. Tre finali di Champions e poi vinciamo solo due scudetti… Il club era più predisposto alla Champions, anche la gente. In Champions difficilmente sbagliavamo partita, mentre se andavamo a giocare a Reggio Calabria, per dire, magari pareggiavamo. Il mister è più predisposto alla Champions, vedi anche ora al Real Madrid. La società era per la Champions, ma anche la gente: si accendeva, era diverso il clima. Che Milan è stato? Fortissimo. Poi hanno avuto la bravura di mettere dentro due-tre giocatori che non conosceva nessuno come Ricardo Kaká: è arrivato che sembrava un postino. Ma andava a duecento all’ora, nessuno si aspettava che andasse così forte. Thiago Silva veniva dalla Russia, ci si chiedeva chi fosse. Invece era fortissimo. Thiago Silva, Stam, Maldini, Kaladze… Gente fortissima”.
Scudetto del cuore al Milan? “Il primo. Era un anno in cui eravamo usciti dalla Champions e così abbiamo rimesso la stagione su. Però lo scudetto che mi rimane più nel cuore è quello che ho vinto con la Lazio. Perché a Milano scudetti, coppe… Sono abituati. Festeggi un giorno. A Roma abbiamo festeggiato un mese. Al Milan si festeggia forte quando si vince la Champions”.
Sull'addio al calcio: “Sono andato a Montreal in MLS. Dopo che ho smesso lì dopo 6-7 mesi mi ha chiamato Materazzi, che faceva l’allenatore-giocatore in India. Si metteva trequartista, la tattica era fiondata su di lui con gli altri che partivano sulla spizzata”.
E l'addio al Milan? "Ho detto basta dopo che mi sono operato e prendevo due voltaren al giorno, ero fritto. Il corpo cominciava a dirmi basta. L’anno prima avevo fatto le due partite col Barcellona con Messi, le avevo portate a casa non so come. L’anno dopo mi dicevo che se avessi beccato un altro così mi avrebbe sfondato, quindi ho detto che era ora. Il Milan mi aveva proposto un altro anno di contratto, io ho detto di no. Io sono un difensore e devo correre dietro la gente e quindi me ne sono reso conto che era ora, gli attaccanti fanno più fatica a capirlo. Estero? Avevo già pronto tutto per andare in Canada. Non ero pronto per smettere totalmente mentalmente, da 100 a 0 è difficile per me. Il problema è quando ho smesso veramente, lì sono andato giù mentalmente. Dopo l’India ho detto basta. Poi sono andato a Miami con mia moglie, ci siamo rimasti per 10 anni. Avevo già casa, ci andavo d’estate e mi piaceva. Ma sono stato talmente tanto sul divano che sono rimasto giù mentalmente, lo ammetto. Io ho sofferto proprio, tutti i giorni erano uguali: mia moglie mi portata ai Caraibi, albergo super e io dopo un giorno volevo andare via. Mia moglie non mi ha cacciato di casa perché mi vuole bene, una santa. Allora mi sono detto che dovevo rimettermi in gioco. Non avevo più l’adrenalina, mi mancava la competizione. Depressione grossa no, ma rompevo le scatole in casa. Tra un po’ anche il cane me lo diceva. Avevo bisogno di tornare nel calcio e l’unico modo per farlo era da allenatore. Da dirigente no, non mi piace. Sono un uomo di campo, devo cercare di incidere ogni domenica. È un percorso che farò e che magari mi porterà da qualche parte. È più bello giocare, ma poi mi ha preso e ti sale l’adrenalina, cambi mentalità”.
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