Motta: chi è causa del suo mal pianga sè stesso
- SCADUTO ANTONIO
- 6 apr
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L'esperienza di Thiago Motta alla Juventus si è conclusa con un esonero tanto rapido quanto discussibile. Partiamo da un principio che, nonostante il tono critico che inevitabilmente seguirà, è d'obbligo sottolineare: Motta è una persona seria, un allenatore preparato, con una carriera che sembrava preannunciare un progetto altrettanto solido. Non ci sono dubbi sulla sua capacità di allenare, e anzi, si sarebbe potuto considerare l'uomo giusto per portare avanti il tanto agognato processo di ringiovanimento della squadra bianconera. Ma, come spesso accade, la presunzione si è frapposta tra lui e il successo. La presunzione che, invece di lasciare spazio alla crescita di una squadra in divenire, ha fatto scivolare il progetto in un abisso di incertezze, cambiamenti repentini e soprattutto prestazioni al di sotto delle aspettative. E se c'è una cosa che la Juventus non perdona, è la mediocrità.
Dopo soli otto mesi, Motta, con il suo tipico tono misurato e riflessivo, ha cercato di giustificare l'esito della sua breve avventura con una serie di dichiarazioni che, purtroppo, rivelano una visione eccessivamente ottimistica rispetto alla realtà dei fatti. Dall’alto della sua esperienza, Motta ha dichiarato che l’obiettivo stagionale (il quarto posto) era ancora a portata di mano al momento dell'esonero, ma c'è una grande differenza tra l'essere a un punto dal quarto posto e il raggiungere quel traguardo con una squadra che ha alternato ottime prestazioni a evidenti imbarazzi sul campo. Il suo "progetto triennale" è diventato un miraggio, e il sogno di una Juve rinnovata si è dissolto troppo in fretta, tra cambi di formazione, scelte tattiche discutibili e una squadra che faticava a ritrovare un'identità chiara. Se c'è una cosa che la Juventus non perdona, oltre alla mediocrità, è l'incapacità di costruire qualcosa che possa resistere nel tempo.
Motta è consapevole degli errori, li ammette con sincerità, il che sarebbe ammirevole se non fosse che la sua analisi pare più una forma di autoparodia che una vera riflessione su ciò che è andato storto. Il tecnico afferma che, "tante cose le cambierei", ma alla fine non si capisce mai cosa abbia imparato da quell’esperienza. Dopo aver lodato la propria capacità di adattarsi alle circostanze, sembrerebbe che il cambio continuo di formazioni e l'incapacità di dare una linea precisa alla squadra siano passati inosservati a Motta stesso. L'insistenza sulle difficoltà legate agli infortuni suona come una giustificazione che, purtroppo, non regge più di tanto. Sì, gli infortuni ci sono stati, ma non sono la causa di tutte le difficoltà della squadra. La vera lacuna è stata una gestione altalenante e una mancanza di continuità. Come allenatore della Juventus, hai il compito di costruire qualcosa che vada oltre le difficoltà contingenti. Se non lo fai, il tempo ti consuma.
Sul capitolo "rapporti con i giocatori", Motta si difende strenuamente, ma la sua posizione non convince pienamente. Sostenere che non aveva alcun problema con lo spogliatoio, senza minimamente fare autocritica su eventuali difficoltà nel gestire personalità e ambizioni, è un po’ troppo. La Juventus è una squadra che, per quanto giovane, ha comunque una storia e una cultura vincente. Non basta essere un tecnico onesto e sincero per conquistare il rispetto della squadra, e Motta lo sa bene. La sua idea di calcio, pur interessante in teoria, ha richiesto un livello di comprensione e adattamento che, alla fine, non è riuscito a ottenere. I suoi giocatori, dalla difesa al reparto offensivo, hanno avuto difficoltà a esprimere la propria identità nel modello tattico voluto da Motta.
E poi c'è la questione Yildiz, quella che forse resterà come una delle più strane omissioni di tutta la sua avventura. Motta ne parla con toni lusinghieri, ma ammettiamolo: se avesse avuto fiducia nel giovane talento, sarebbe stato più coerente nel dargli spazio, soprattutto dopo averlo difeso tanto. Perché il ragazzo è un talento, sì, ma come ogni giovane ha bisogno di opportunità concrete per crescere. Le parole di Motta, in questo caso, suonano quasi come una riserva di "giustificazioni" più che di sinceri complimenti.
In tutto questo, l’esonero di Motta arriva dopo una serie di prestazioni scialbe e una sconfitta in Coppa Italia che ha contribuito a mettere in luce tutte le fragilità emerse sotto la sua guida. Una Juventus che non riesce a vincere, che non ha un'identità definita, che fa fatica contro squadre di livello inferiore, non può restare indifferente agli occhi della dirigenza e dei tifosi. Questo lo ha capito troppo tardi.
In sintesi, Thiago Motta è stato vittima della sua stessa presunzione: quella di pensare che il cambiamento radicale fosse sufficiente per dare un’identità alla squadra senza prima consolidare le fondamenta. Certo, alcuni giocatori hanno avuto un’opportunità in più, ma la Juve non è una scuola calcio. Non è il posto per sperimentare senza un piano preciso e senza la consapevolezza che, se non vinci, paghi. Non basta dire "la Juve ha bisogno di vincere" – bisogna farlo, e Motta, purtroppo, non ha avuto il tempo necessario per riuscirci. E la sua presunzione di poter "rivoluzionare" senza una vera strategia di consolidamento l’ha tradito.
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